È stato appena pubblicato su Nature uno dei più grandi studi condotti finora sugli effetti cerebrali a lungo termine del Covid-19. La ricerca ‘Covid-19 Clinical Neuroscience’, realizzata dall’Università di Liverpool e dal King’s College di Londra, ha dimostrato che il cervello in alcuni pazienti colpiti da forme gravi dell’infezione dopo solo 1 anno appare invecchiato di ben 20 anni.

Per arrivare a questa conclusione gli esperti hanno preso in esame un campione di 351 pazienti ricoverati per Covid-19, alcuni con e altri senza complicazioni neurologiche, e ne hanno indagato lo stato delle condizioni cognitive basandosi sul volume cerebrale e sulla presenza nel sangue dei livelli di una proteina indice di lesioni cerebrali. Poi, le hanno confrontate con quelli di un gruppo di controllo di 3.000 persone, arrivando così alla conclusione che, sebbene in una minoranza dei casi, l’infezione ha comportato conseguenze neurologiche gravi. 

«Sull’impatto cognitivo del virus abbiamo avuto pochi dubbi sin dall’inizio» conferma il dottor Samorindo Peci, medico dell’Unità Covid 2020-2021 dell’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo e dell’Ospedale di Sondalo. «Cefalea e nebbia cognitiva, ovvero quella mancanza di lucidità, difficoltà a ricordare le cose, a concentrarsi, uniti a un forte senso di stanchezza: sapevamo che tutto questo non era un insieme di sintomi che sarebbero stati per tutti transitori ma persistenti e debilitanti. Per questo da direttore sanitario all’Istituto San Celestino mi sono battuto per impostare sin da subito valutazioni e protocolli di intervento per chi manifestava questi effetti neurologici legati all’azione di risposta infiammatoria al virus» racconta Peci.

All’istituto San Celestino è stato infatti validato un protocollo multidisciplinare. «Partendo dalla
valutazione dello stato di affaticamento delle aree cerebrali del paziente, tramite strumenti di
neuronavigazione sofisticati come la Spettroscopia nel vicino infrarosso, si imposta il piano terapeutico individualizzato che prevede: tecniche di fisioterapia respiratoria per imparare a respirare correttamente; tecniche di potenziamento delle capacità cognitive con trattamenti combinati di fotobiomodulazione cerebrale e stimolazione elettrica transcranica per ripristinare il metabolismo dei neuroni, ridurre l’infiammazione cerebrale e migliorare così le funzioni cerebrali alterate (memoria, attenzione, concentrazione). Tutto unito a un supporto psicologico e soprattutto all’autovaccino, una pratica assolutamente fisiologica, senza effetti collaterali, che ha dato grandi risultati, e che è in grado di 

inibire la risposta immunitaria. È infine utile non esacerbare l’infiammazione cerebrale con un piano alimentare adeguato» precisa il direttore sanitario dell’Istituto di Milano.

«Il messaggio che vorrei ricordare oggi è che sono passati quasi 3 anni e ancora di Covid-19 si parla, e se ne continuerà a parlare. Anche alla luce dei dati di questa ricerca non va dimenticato che dobbiamo continuare a monitorare i sintomi senza far finta che sia “normale” sentire annebbiamento mentale. Senza abituarsi…» conclude l’esperto. «È l’occasione per ribadirlo: il cervello non “fa male” ma manifesta il dolore tramite perdite di funzione come la memoria, l’attenzione, la concentrazione. Affidarsi agli esperti e prendere il carico la gestione del problema è l’unica strada per non compromettere definitivamente le nostre care funzioni cognitive». 

Categories:

Tags:

No responses yet

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *