Contro la sindrome da Long Covid, la partita si gioca (anche) a tavola
I consigli della biologa nutrizionista per recuperare lucidità mentale e forma fisica: no agli eccessi, sì a piatti unici con abbinamenti virtuosi. “Il piano alimentare giusto è su misura”
Gonfiore, pesantezza, mal di testa, insonnia, annebbiamento mentale, spossatezza, cattività regolarità intestinale. Circa l’80% di chi è stato colpito dal Covid ha lamentato disturbi collegati a doppio filo con l’alimentazione.
«Negli ultimi mesi è aumentata tanto la richiesta da parte dei pazienti di perdere i chili in più guadagnati nei giorni chiusi in casa, spesso trascorsi in costante “comunicazione” con il frigo, e di tornare a sentirsi “come prima”» racconta la dottoressa Rosjana Pica, biologa nutrizionista a Milano. «È crescente l’esigenza di recuperare la motilità intestinale persa, spegnere i mal di testa continui, tornare a dormire sonni tranquilli, riacquistare energie per sentirsi meno stanchi. A risentirsi, insomma, “nei propri panni”».
I sintomi descritti, come spiega l’esperta, sono tutti accentuati dallo stesso problema: la cattiva alimentazione. «Spesso si dimentica che mettere sul piatto determinati alimenti comporta conseguenze a cascata su tutto l’organismo- continua la dottoressa Pica-. Poniamo l’esempio di un eccesso di zucchero, e quindi di carboidrati: per far entrare gli zuccheri nelle cellule è necessaria l’azione dell’insulina, un ormone che viene prodotto da particolari cellule del pancreas. Un’eccessiva ingestione di zuccheri causa una ipersecrezione di insulina che mette sotto sforzo il pancreas. Se poi l’eccessivo consumo di carboidrati si protrae nel tempo, le cellule possono sviluppare una resistenza a questo ormone, creando un disequilibrio tra gli zuccheri assunti e quelli che riescono effettivamente ad essere metabolizzati correttamente. Tutto questo può scatenare un’infiammazione silente».
L’eccesso di zuccheri si ripercuote anche a livello cerebrale, causando, o esacerbando come nel caso dei pazienti affetti da Long Covid, annebbiamento, affaticamento cerebrale, minore lucidità: ovvero quanto si definisce “nebbia cognitiva”. Non solo, pesa anche sulla salute di fegato e reni: «Quando lo zucchero eccede viene trasformato in grasso e, alla lunga, può derivarne l’insorgenza di steatosi epatica, conosciuta comunemente come “fegato grasso”. Per quanto riguarda i reni, invece, lo zucchero eccessivo ne riduce la capacità di filtrare i prodotti di scarto e i liquidi». Ecco perché si parla di “effetto a cascata”: da un processo ne scaturisce un altro fino a perdere le funzionalità che determinano quel “sentirsi bene “a cui tutti aspiriamo.
Non vanno demonizzati i carboidrati, ma gli eccessi. «Le ripercussioni negative sulla salute ci sono per qualunque tipo di eccedenza» chiarisce la dottoressa Pica. «Da qui l’importanza di elaborare un piano alimentare equilibrato dal punto di vista nutrizionale e calibrato sulle caratteristiche dei pazienti e sulle loro esigenze di nutrizione. Senza dimenticare il gusto che non va negato, perché nutrirsi è questione di salute ma anche di palato».
Cosa mettere nel piatto cambia da persona a persona, tuttavia delle linee guida generali da seguire ci sono: la prima è limitare i carboidrati ad un apporto di circa il 50% del piano giornaliero, evitando gli zuccheri semplici e prediligendo al loro posto quelli integrali che, grazie al contenuto di fibra aiutano a mantenere costante il livello della glicemia. «Serve poi aumentare l’apporto di proteine e grassi buoni, che si trovano nei pesci come sgombro, salmone, aringhe, tonno, nella frutta secca, olio extra vergine e semi oleosi. E non dimentichiamoci anche delle fibre contenute nella verdura» commenta la dottoressa Pica. «Consiglio anche i piatti unici: ad esempio, non si sbaglia con un piatto che combina cereali, pesce e verdura, come un piatto di farro, zucchine e gamberetti, oppure pasta integrale con cime di rape e acciughe. Abbinare un cereale a proteine e verdure modula il picco insulinico e assicura allo stesso tempo il corretto apporto proteico».
Quanto tempo serve per ridurre infiammazione cerebrale, e tutto ciò che ne deriva? «I tempi di risposta cambiano da persona a persona in relazione ad una serie di variabili. Per alcuni pazienti basta seguire un piano nutrizionale adeguato per 4 settimane per incassare benefici, sentire meno affaticamento, pesantezza, gonfiore; per altri servono 6-7 settimane. Ma in genere nel giro di due mesi tutti mettono a segno risultati importanti. Non sempre spariscono tutti i sintomi, ma il 99% riporta miglioramenti significativi».
A quel punto si tratta di non ricadere in errore. «Uno dei più comuni riguarda la frutta, che è salutare ma non innocua in quanto ricca di fruttosio, uno zucchero che se assunto in quantità eccessive porta a un aumento dei trigliceridi nel sangue ed è un fattore di rischio per danni al fegato» spiega. «Uva, banane e fichi sono, ad esempio, ricchi di zucchero, meglio limitarli o abbinarli a frutta secca o yogurt bianco, in modo da modulare il carico glucidico».
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