Il nuovo protocollo neuroriabilitativo per contrastare la Sindrome da Long Covid prevede due fasi e un approccio integrato. In altre parole, la partita si gioca su più livelli: serve un programma strutturato di neuronavigazione diagnostica, di fisioterapia respiratoria, di Fotobiomodulazione e un piano alimentare adeguato. Secondo i principi della medicina di precisione, tutto su misura dei pazienti, partendo dai risultati degli esami diagnostici già previsti dal protocollo.
È quanto risulta dallo studio condotto da un team di ricercatori: «La Sindrome da Long COVID è una situazione di cronicità successiva all’infezione i cui effetti si ripercuotono su tutti i sistemi e gli apparati: polmonare, epatico, cardiaco, renale e, non ultimo, il sistema nervoso centrale» chiarisce il dottor Samorindo Peci, direttore dell’Istituto San Celestino e tra gli autori della ricerca, insieme alla dottoressa Federica Peci, la dottoressa Rosjana Pica e il dottor Giovanni Ricevuti dell’Università di Pavia.
«Per quest’ultimo aspetto, il coinvolgimento del sistema nervoso centrale, la Sindrome da Long COVID è associata a cambiamenti di umore, difficoltà cognitive, mal di testa, affaticamento, vertigini, perdita di memoria, confusione e deficit di attenzione».
I disturbi cognitivi associati alla sindrome da Long COVID anche a seguito di forme lievi di infezione sono associate alla neuroinfiammazione, come spiegano gli autori dello studio.
Cosa è? «Il virus si propaga portando un’infiammazione incontrollata. A volere essere più precisi, la risposta immunitaria immediata contro virus, batteri o altri microrganismi comporta la mobilizzazione di diverse cellule e molecole. Tra questi mediatori infiammatori ci sono citochine e chemochine. Il loro coinvolgimento provoca l’attivazione di diverse vie di segnalazione che possono portare ad un aumento della morte cellulare, iperinfiammazione e “tempesta citochinica”». I risultati sono noti: deficit delle funzioni polmonari, problemi intestinali, deficit di attenzione, perdita di memoria, elaborazione lenta di azioni e pensieri, per citarne solo alcuni.
Secondo il nuovo protocollo neuroriabilitativo messo a punto dagli autori della ricerca dal titolo “Abbassamento degli indici neuroinfiammatori con la luce: un nuovo protocollo neuroriabilitativo per la Sindrome da Long Covid”, il trattamento di fotobiomodulazione, unito ad altri, aiuta a quel “ritorno alla normalità” tanto agognato da chi trascina con sé il Long Covid.
Il protocollo, dati alla mano, si è dimostrato in grado scardinare alla base i sintomi più frequenti che la Sindrome comporta. «Grazie alla ricerca abbiamo dimostrato che effettuare un ciclo di trattamenti con la tecnica della Fotobiomodulazione, attraverso l’uso di biotecnologie innovative e non invasive, permette di ottenere un abbassamento di tutti gli indici neuroinfiammatori» spiegano i ricercatori.
La Fotobiomodulazione è una tecnica non invasiva che, attraverso uno specifico tipo di luce, modula l’attività delle nostre cellule cerebrali. La metodica si basa sul passaggio non invasivo di luce a basso flusso sulla superficie cerebrale corticale, a una lunghezza d’onda nel vicino infrarosso. «Esporre tessuti neuronali a queste lunghezze d’onda innesca un processo in grado di aumentare il metabolismo cellulare e il flusso ematico cerebrale. Grazie a questo aumento di ossigenazione e dei processi emodinamici migliorano tutte le principali funzioni cognitive di alto livello» spiegano gli autori.
«Dallo studio condotto è emerso un aumento della produzione di ATP (ndr. la molecola che fornisce l’energia necessaria per quasi tutte le forme di lavoro cellulare), del flusso ematico cerebrale, della sopravvivenza delle cellule neuronali».
Il protocollo neuroriabilitativo messo a punto dai ricercatori, si diceva, va distinto in 2 fasi: «La prima consiste nella valutazione clinica e vascolare emodinamica e passa attraverso strumenti di diagnostica come la fNIRS ovvero la spettroscopia nel vicino infrarosso. La seconda, nell’attuazione stessa degli esercizi di fisioterapia respiratoria e nel trattamento di stimolazione cognitiva». Anche a tavola, aggiungono, si gioca una partita importante per abbassare i livelli di infiammazione, per questo non va trascurata la parte nutrizionale.
«La standardizzazione è data solamente dalle metodiche utilizzate ma per impostare un vero piano di riabilitazione è necessario conoscere il paziente, il suo vissuto e le sue abitudini per far sì che i professionisti si adeguino a lui e non viceversa» concludono.
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