Sindrome da Long Covid:
la riabilitazione che funziona è individualizzata

Dimissioni dall’ospedale e tampone negativo non sono esattamente il lieto fine che ci si aspetta. Una buona notizia sì, ma che non segna la fine di tutti i problemi. Tutt’altro. A fare i conti con la sindrome da Long Covid sono infatti circa il 35% delle persone colpite dal virus, e va tenuto presente che sono numeri ufficiali, quelli reali sono anche più alti.  

Dolori muscolari, spossatezza, ansia, difficoltà respiratoria, insonnia e soprattutto quella sensazione di “nebbia nella mente”, ribattezzata “nebbia cognitiva”, che si traduce in difficoltà a ricordare, sentirsi concentrati, terminare una qualsiasi attività. I sopravvissuti al Covid in teoria sono guariti, in pratica non sentono affatto di esserlo. Su tutto pesa poi la consapevolezza di non essere gli stessi di prima e la paura di non riuscire più a ricominciare una vita normale, uno stato d’animo comprensibile che però ci mette il carico. 

«La prima cosa da fare è non perdere la speranza, l’aspetto psicologico è fondamentale, lo è per tutti, certo, ma forse ancor più per questo tipo di pazienti, la combinazione dei due sistemi neuro e psicologico altrimenti è destinata a diventare una specie di “bomba a orologeria”: lo stress fisico si ripercuote su quello mentale e tutto si riflette a livello organico» interviene il dottor Samorindo Peci, endocrinologo, esperto di medicina d’urgenza e, in piena emergenza, medico volontario all’ospedale di Sondalo Unità-Covid.

«Sulla gestione del dopo la comunità scientifica suggerisce un certo tipo di riabilitazione fisico-cognitiva. Perché sia efficace però la riabilitazione va individualizzata, ovvero ritagliata su misura dei pazienti, a partire dalla storia clinica e dallo stato in cui si trova. Altra chiave indispensabile per tornare a una vita normale è affidarsi a professionisti, che praticano una medicina basata sulle evidenze. Mettersi in buone mani insomma e non nelle mani di chi millanta specialistiche. Non si può pensare di affrontare il Long Covid senza le adeguate conoscenze neurologiche».

La nebbia cognitiva, come spiega il dottor Peci, è un effetto neurologico legato all’azione di risposta infiammatoria al virus. Le caratteristiche sono lamancanza di lucidità, difficoltà a ricordare le cose, aconcentrarsi, stanchezza.
«Alla base del termine c’è il concetto di “neuroinfiammazione”, lo stesso presente anche nel diabete e nelle malattie metaboliche in generale, ovvero un’attivazione del sistema immunitario a livello cerebrale che persiste anche dopo l’infezione. Le molecole infiammatorie (citochine) nel nostro organismo hanno un’emivita che varia dai 60 ai 120 giorni successivi all’evento scatenante. Prodotte dal nostro corpo agiscono come tossine e, anche se nella prima fase sono il “prodotto” della guarigione, andando avanti col tempo possono incidere negativamente sui meccanismi cerebrali, se non adeguatamente monitorate e gestite. 

Per rispondere alla domanda più comune che oggi si fa chi è colpito da questa sindrome quindi, tornare a essere quelli di prima è possibile, a patto però di seguire il percorso giusto, che significa lavorare su più livelli, e soprattutto di farlo con chi ha competenze riconosciute in questo campo». 

L’istituto San celestino attua dei percorsi riabilitativi specificatamente pensati per la Sindrome di Long Covid: «La nostra équipe mette in atto protocolli specifici sia per la gestione della sindrome fin dalla prima comparsa, che ancor prima per prevenirne l’insorgenza. Per prima cosa si valuta lo stato di affaticamento delle aree cerebrali del paziente, grazie agli strumenti di neuronavigazione di cui disponiamo come la NIRS. Una valutazione accurata ci permette così di impostare il piano terapeutico individualizzato, e quindi a seconda dei casi, scegliere le tecniche di fisioterapia respiratoria più adatte al paziente per imparare a respirare correttamente e permettere all’organismo di essere perfettamente ossigenato; stabilire le tecniche cognitive opportune per ripristinare le funzioni cerebrali perse, quindi potenziare la memoria, l’attenzione, migliorare la concentrazione; il tutto unito alla componente di supporto psicologico che non può mancare. Senza dimenticare, infine, l’attenzione che meritano altri approcci complementari specifici, tra cui soprattutto l’alimentazione: la parte nutrizionale non è un capitolo marginale, il cibo gioca un ruolo importante per ridurre l‘infiammazione cerebrale. Lavorando in sinergia contemporaneamente su questi livelli è possibile tornare “quelli di prima”». 

http://istitutosancelestino.it/long-covid

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